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Questa silloge poetica di Pina Piccolo raccoglie liriche che, procedendo a ritroso, vanno dal 2017 al 1974: ben quarantatré anni in cui i toni della poesia dell’autrice si sono modificati, passando dallo sdegno all’amarezza, al sarcasmo, al canto desolato, senza che si sia modificato l’oggetto, colto nelle sue multiformi manifestazioni e nei suoi «fenomeni morbosi». Gli stessi titoli delle sezioni in cui è suddivisa la raccolta segnano questo filo rosso. Titoli parlanti, potremmo definirli, con i quali si chiarisce il carattere di denuncia della poesia della poetessa italo-californiana che ribalta l’angolo visuale e osserva l’interregno da una prospettiva decentrata, sbilenca, postcoloniale. La lingua segue la torsione del decentramento e si fa meticcia, multiculturale, e sfrutta le proprietà foniche delle parole e gli artifici retorici per marcare il paradosso dell’interregno. L’«interregno» non è un generico momento di transizione; non è nemmeno un non-luogo purgatoriale; e non è soprattutto una condizione esistenziale dell’io lirico, come l’uso del leopardiano «Canti» potrebbe indurre a credere. L’interregno è il nostro oggi, questo protratto periodo di attesa di una fenice che non risorge dalle proprie ceneri. L’interregno della Piccolo è il mondo minato dal capitalismo, dal consumismo, dal razzismo, dagli ‘ismi’ che hanno crivellato il Novecento. (Dalla prefazione di Rosanna Morace)
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