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Ho conosciuto Pina Piccolo nel 2012 durante l’evento di Bologna organizzato da “One Thousand Poets for Change”e da allora ne ho apprezzato l’impegno, il lavoro instancabile e la generosità nel valutare e promuovere autori prima ancora di promuovere i propri lavori poetici. Per questo motivo conoscevo già solo una piccola parte dei testi contenuti nella raccolta I canti dell’interregno per averli sentiti recitare da lei durante i numerosi reading organizzati insieme in questi anni.
È stata grande la curiosità e l’interesse di leggere in anteprima questa raccolta dove le esperienze di vita, le sperimentazioni letterarie e le appassionate lotte civili di Pina si fondono in ogni pagina. La silloge si compone di una prima parte, Interregno che contiene testi scritti tra il 2011 e il 2017, di una seconda parte, Cosmagonie, con poesie composte tra il 2006 e il 2011 e termina con Suonare il piffero della rivoluzione, sezione nella quale sono presenti liriche risalenti al periodo 1974-1981.
Il titolo della prima sezione e la poesia di apertura della silloge, Interregno, sono un chiaro omaggio alla lungimiranza del pensiero di Antonio Gramsci parafrasato e virgolettato all’interno del testo, che con poche parole rappresenta in modo così preciso e toccante la crisi della nostra civiltà: «La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati». Continua l’autrice:
Questa la canzone che gracchiava
la gazza, poco ladra molto regaliera,
spargendo verità per l’aire
nel giardino delmanicomio
tra la polvere delle fondamenta
abbattute dalla speculazione edilizia […]
[…]
Sindrome morbosa
della rosa della rosa della rosa
coltivata nella Rift Valley del Kenya.
Mani nere l’han curata, accarezzata,
poi strappata, spedita nella stiva sen’è volata,
poi è atterrata, per un’oraimmagazzinata e poi,
per le strade di Palermo di Bologna diTorino,
un bengalese poco più che bambino
me l’ha offerta a mezzo euro
perché non era più frescadi giornata.
«Saldi, saldi, saldi!»
teniamoci saldi
nell’interregno
tra le sindromi morbose
sindoni irradiate
antropogenici cambiamenti
antropologici mutamenti
e ammutinamenti
costituzionali scrostamenti
e crollo di nazioni.
Negli interstizi
vaga la voce,
fluisce la nota
che la bussola resetta
e come arca
spera e aspetta.
La raccolta si dipana all’interno di testi di dolore, amarezza e accuse attraverso i quali Pina Piccolo ci conduce per mano in tragedie e brutture del nostro vivere malato, della nostra ipocrisia e del nostro razzismo con il quale non abbiamo mai voluto fare i conti sapendo che sarebbero conti scomodi:
Oggi nelle nostre tiepide tane,
superbi e pavidi
come sciacalli,
tra lo schiamazzo della televisione
e le solitudini
degli avatar,
ce ne stiamo a ordire inferni
per gli altri
dietrol’angolo di casa.
(Arance e avorio)
La sua scrittura è nella maggior parte dei testi immediata e scevra da preoccupazioni stilistiche. A tratti assume forme liriche e di grande intensità, a tratti è invece sperimentale e maggiormente cerebrale.
Avviso dalle sponde, dopo l’incipit di Interregno, ne costituisce l’ideale continuazione, la fulminea concretizzazione di ciò che era rimasto sospeso:
Messaggio di fuoco
bottiglia molotov di barcone.
Non si ritrae la sponda,
esplode
in limine d’Europa
davanti al volto stupito dei Conigli
dall’aria ignara
scossi dal tremito della Terra
unica sensibile all’avviso.
E allora l’autrice invoca e benedice il vento, questo elemento naturale che ha affascinato, affascina e affascinerà sempre i poeti, affinché soffi forte portando in sé le utopie e le rabbie clandestine della terra per colpire finalmente la nostra coscienza in stato comatoso:
È vento selvaggio
il fiato
che gira le pale
dell’utopia.
Non quello addomesticato
dei tombini del teleriscaldamento
che solleva le gonne
di dive ossigenate,
che anima manifesti sornioni
di mosche cocchiere
aspiranti imbrigliatrici di vento.
Selvaggio, non guarda in faccia nessuno
e lacrimogeni sparge
insieme a vaghe speranze
di cambiamento.
Alimentatore di fuochi
li fa crescere a dismisura
e poi cadendo li smussa.
Terribilmente giusto e crudele,
portavoce
di clandestine rabbie del pianeta
contro la specie,
centrifuga nell’aria
natura e produzioni dell’umano.
Puoi far finta di niente
mentre spira da sud da nord
da est da ovest
e allora ti colpisce con l’orzaiolo
palpebra pesante della coscienza.
(Sia lode al vento)
E dopo il vento anticipatore di tempesta, ecco un vero e proprio diluvio in grado di spazzare via la nostra «specie dedita al comando»:
Non furono che gocce lucenti come perle,
si abbattevano innocue su fili d’erbaassetati
che bevvero e bevvero fino a scoppiare.
La terra screpolata e gonfia
non ce la faceva a contenere
quell’abbondanza improvvisa
e benedetta.
Se ne accorse perfino la cicala
che qualcosa non andava.
Dopo lo squarciagolarsi alla calura
nel DNA serbava la memoria
del previsto calo graduale
e poi l’addormentarsi dolce senza risveglio;
ora, invece, nell’arca di un guscio
gli schizzi
le ammorbavano il sogno.
E gioirono i venditori di ombrelli bengalesi
che nelle stazioni si ritrovavano
le caviglie, stanche dal tanto camminare,
ristorate come un tempo
nelle risaie della loro terra,
ora con l’unguento del disfacimento
di un’epoca e di una specie dedita
al comando.
(Le prime avvisaglie del diluvio)
Pina in questa raccolta sa calarsi con naturalezza e senza sbavature nei personaggi protagonisti delle sue poesie, siano essi donne, uomini, bianchi o neri, viventi o defunti.
È con grande sapienza che riesce a commuoverci nel momento in cui dà voce alla borsa di «pelle di vacca» della povera Shaimaa al-Sabbagh, attivista per i diritti umani colpita a morte il 24 gennaio 2015 dalle forze di sicurezza egiziane durante una manifestazione per ricordare le centinaia di ‘martiri della rivoluzione del 25 gennaio’ che nel 2011 spodestò Hosni Mubarak. Shaimaa al-Sabbagh, insieme a una trentina di persone, stava prendendo parte alla manifestazione indetta dal Partito dell’Alleanza popolare socialista. Camminavano sul marciapiede per non ostruire la circolazione stradale, dirette a piazza Tahrir: alcune reggevano lo striscione del partito, altre avevano in mano cartelloni e fiori. Le forze di sicurezza che presidiavano gli ingressi di piazza Tahrir bloccarono i manifestanti in via Talaat Harb e, senza preavviso, iniziarono a lanciare lacrimogeni e a sparare coi fucili da caccia o con pallottole di gomma, secondo altre fonti. Shaimaafu colpita. Il marito, Osama, che era accanto a lei, trasportò in braccio il suo corpo insanguinato conducendolo al riparo, dietro al caffè Bustan, mentre Bilal, il loro figlio di cinque anni, piangeva.
Ti chiedo perdono, Shaimaa habibti,
ché vorrei essere stata più dura dell’acciaio,
ma non sono che debole pelle di vacca
poca cosa contro metallo impuro.
Cosa darei per aver potuto fare da scudo
al tuo tenero corpo
gemma di primavera.
Sarei stata la tua corazza
contro la scheggia schizzata da e poche lontane
che prepotente osa fermare
il cammino umano,
serva di Faraoni
che si cibano di linfa vitale.
In mano fiori rossi, li portavi alla Memoria
perché nel grande cuore del mondo
non si spengano le primavere.
Insieme a te non potrò più percorrere strade,
non potrò più portare dentro le tue cose care:
le foto di tuo figlio,
le tue chiavi,
i nostri acquisti mondani;
ma per sempre sentirò
quel tuo intenso profumo
di calicanto che il cuore riscalda
nel dilagare dell’inverno.
(Messaggio della borsa a Shaimaa)
Al di là dei toni di lotta e di pessimismo sulla possibilità di reale mutamento della condizione umana qui e ora che emergono dalle pagine della raccolta, intravedo un flebile segnale di speranza nella Ballata dei messaggeri angelici, ovvero dei bimbi fantasma nati in Italia dall’8 agosto 2009 con la quale vorrei chiudere queste mie brevi annotazioni:
Vieni avanti spirito bambino,
in un mondo di torri che crollano
non c’è acqua che ti baci la fronte,
né medico in camice
che ti strappi dalla madre,
né burocrate che iscriva il tuo nome
nel Grande Libro dei Vivi.
Vieni avanti spirito bambino
nato da madre clandestina
e padre pirata,
con sorelle ribelli
e fratelli dall’andatura spavalda,
zie sul ciglio della strada,
zii sulle impalcature,
cugini che spingono sedie a rotelle,
nonne lontane,
nonni che mancano da tempo.
Che non ti prenda la nostalgia
delle valli felici degli Abiku,
dei giochi con le fate
vicino al fiume
con il ronzio delle api,
il canto dei germogli
che sbucano dal ramo.
La tua ninnananna
la canzone dell’esilio,
il tuo latte
la linfa della storia
con la feccia che si deposita
nel fondo più infimo.
Ingoia il paradosso,
oh messaggero celeste,
per presentarci la coppa
di un domani salvato.
Bartolomeo Bellanova
Questa silloge poetica di Pina Piccolo raccoglie liriche che, procedendo a ritroso, vanno dal 2017 a..
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